14/10/2024
Notizie su sanità sociale ed altro
DALL'ITALIA
GIMBE: 4,5 MILIONI DI ITALIANI RINUNCIANO A
CURARSI
Nella spesa sanitaria pubblica, osserva la
Fondazione, il gap è di 52,4 miliardi di euro con la media dei paesi UE,
ma la percentuale di pil scende al 6,2% dal 2026.
"Dati, narrative e sondaggi di
popolazione - spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe -
dimostrano che oggi la vera emergenza del Paese è il Servizio sanitario
nazionale". Un divario della spesa sanitaria pubblica pro capite di 889
euro rispetto alla media dei paesi Ocse membri dell'Unione Europea, con un gap
complessivo che sfiora i 52,4 miliardi; la crisi motivazionale del personale
che abbandona il Ssn; il boom della spesa a carico delle famiglie (+10,3%);
quasi 4,5 milioni di persone che nel 2023 hanno rinunciato alle cure, di cui
2,5 milioni per motivi economici; le inaccettabili diseguaglianze regionali
e territoriali; la migrazione sanitaria e i disagi quotidiani sui tempi di
attesa e sui pronto soccorso affollati. Tutto questo, dimostra, continua
Cartabellotta, "che la tenuta del SSN è al punto di non ritorno, che i
principi fondanti di universalismo, equità e uguaglianza sono stati ormai
traditi e che si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla
tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più
deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree
interne e disagiate".
Le liste d'attesa su cui recentemente il
governo è intervenuto con una legge, spesso costringono il cittadino a cui
serve una visita, un intervento o un esame a rivolgersi al privato o a
rinunciare.
Anche questo è emerso dall'analisi del 7°
rapporto del Gimbe, presentato nei giorni scorsi al Senato. "La grave
crisi di sostenibilità - ha spiegato Cartabellotta - è frutto anzitutto del
definanziamento attuato da tutti i governi negli ultimi 15 anni, che hanno
sempre visto nella spesa sanitaria un costo da tagliare ripetutamente e non una
priorità su cui investire costantemente".
Il presidente Sergio Mattarella, in
quella stessa sede aveva inviato un messaggio: "Il Servizio sanitario
nazionale costituisce una risorsa preziosa ed è il pilastro essenziale per la
tutela del diritto alla salute, nella sua duplice accezione di fondamentale diritto
dell'individuo e interesse della collettività".
Secondo il ministro della Salute, Orazio
Schillaci: "Dobbiamo avere un piano per avvicinarci al 7%, un dato che
gira molto quando ci confrontiamo con gli altri Paesi. Invece questo numero per
noi è storicamente più basso. Se si vanno a vedere i dati del governo che ci ha
preceduto, il rapporto tra il Fondo sanitario e il Pil era inferiore a quello
che ha messo il governo Meloni. Nella legge di bilancio credo che ci saranno
risorse adeguate per la sanità. Nessuno, né il governo né io per primo,
vuole tagliare la sanità pubblica. Il mio appello è di guardare al
personale su due capitoli: pagare meglio il personale e fondi per assunzioni di
medici, infermieri e nuovi operatori sanitari, perché la nuova legge sulle
liste d'attesa possa essere applicata".
DEPRESSIONE, AUMENTA CON L'ETÀ A CAUSA DELLA
NEUROINFIAMMAZIONE
Secondo gli esperti la depressione aumenta
con l'età e la neuroinfiammazione ne è responsabile. Nell’arco della
propria vita sembra che ne soffra più di un uomo su dieci e circa una donna su
quattro. I dati epidemiologici italiani rivelano un fenomeno importante
rispetto al panorama europeo: la depressione sembrerebbe essere poco o
mediamente diffusa tra i giovani intorno ai 15/20 anni e poi in particolare dopo
i 65 anni.
La depressione dell’anziano è diversa.
"Il modo in cui la depressione si presenta varia sensibilmente a seconda
dell’età di chi ne soffre. Nell’anziano si caratterizza per la più alta
presenza di malessere fisico, rallentamento e sintomi cognitivi. Questo tipo di
depressione sembra essere strettamente collegato all’infiammazione cronica di
basso grado, da cui il termine anglosassone 'inflammaging', ad indicare lo
stretto rapporto tra l’infiammazione e l’invecchiamento - afferma Marco Colizzi,
professore aggregato di psichiatria dell'Università di Udine - L’infiammazione
cronica di basso grado ha delle conseguenze nel breve e lungo periodo.
Provoca danni collaterali al sistema nervoso
periferico e centrale, neuroinfiammazione ai vasi sanguigni, ai muscoli e a
organi come il pancreas, il cuore, i reni e il fegato. Rispetto alla
depressione ad esordio precoce, la depressione ad esordio tardivo è
stata associata ad una più elevata mortalità, causata dall'invecchiamento
vascolare, che espone la persona che ne soffre anche ad un rischio maggiore di
evoluzione verso quadri di decadimento cognitivo".
Ma perché il corpo si infiamma.
L’infiammazione è un processo biologico naturale con cui il sistema immunitario
si attiva in risposta a lesioni, infezioni o altre minacce percepite. In sua
assenza, non saremmo in grado di mantenere il nostro stato di salute. Uno dei
più grandi obiettivi della medicina moderna è quello di far chiarezza sulle
cause e conseguenze dell’infiammazione cronica di basso grado, quel processo
che non dà i segnali tipici dell’infiammazione acuta o cronica e predispone
l’organismo ad un elevato rischio di patologie (es. diabete di tipo 2, malattie
cardiovascolari, obesità e cancro). L’infiammazione cronica mette a rischio
anche la nostra salute mentale: altera la barriera emato-encefalica e
consente il passaggio dell’infiammazione al sistema nervoso centrale, neuro
infiammazione, con aumento del rischio di sviluppare disturbi neurologici come
la depressione e il deterioramento cognitivo.
Essa, infatti, può influenzare il cervello
attraverso il rilascio di citochine, molecole che mediano la risposta
immunitaria e che possono alterare la chimica cerebrale, in particolare la serotonina
e la dopamina, neurotrasmettitori fondamentali per il benessere emotivo.
In alcune persone con depressione non è
infrequente il riscontro di alti livelli di marcatori infiammatori nel sangue,
e si ritiene che questo possa spiegare la presenza di stanchezza, perdita
di interesse e umore basso. Anche il disturbo bipolare e la schizofrenia
mostrano correlazioni con l’infiammazione cronica.
L’infiammazione cronica si può evitare o, quantomeno, ridurre. È spesso alimentata da cattivi stili di vita,
inclusi una dieta eccessivamente ricca di zuccheri e grassi saturi, la
sedentarietà e l’assenza di esercizio fisico, lo stress cronico e l’esposizione
a sostanze tossiche quali inquinanti e fumo di sigaretta. Va sottolineato
anche il ruolo del sonno: passiamo un terzo della nostra vita dormendo e
durante il sonno vengono riparati i danni cellulari accumulati. Un sonno
inadeguato non permette questo importante meccanismo di protezione ed
aumenta il rischio di infiammazione", spiega il professor Colizzi.
Secondo il professore "è fondamentale
adottare uno stile di vita sano. Questo prevede almeno quattro strategie
principali. L’attività fisica regolare, compreso anche il solo
camminare, può ridurre i livelli di infiammazione nel corpo. La gestione
dello stress è molto importante: tecniche di rilassamento come la
meditazione e la respirazione profonda hanno dimostrato di essere efficaci
nell’abbassare i livelli dei marcatori infiammatori. Un sonno di qualità è
fondamentale per mantenere bassi i livelli di infiammazione.
Ultima, ma non ultima, l’alimentazione gioca
un ruolo essenziale: una dieta equilibrata, ricca di antiossidanti e
grassi sani, come pesce ricco di omega-3, frutta, verdura fresca, noci e semi,
aiuta contrastare l’infiammazione cronica".
PROF. COLIZZI: LA PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE
NEI GIOVANI
Abbiamo incontrato il professor Christian
Colizzi, cardiologo di Roma, che ci ha spiegato quanto sia importante una corretta
prevenzione cardiovascolare sin da giovani.
"Le abitudini dei nostri ragazzi sono
molto cambiate – spiega Colizzi – oggi, purtroppo, c’è un modo errato di
alimentarsi, i giovani soffrono di molto stress e la sedentarietà
e quindi l’impatto con il sovrappeso e l’obesità in età infantile e scolare è
aumentata molto". Tutti questi fattori possono risultare determinanti per
problemi cardiovascolari in età adulta.
"Il giovane adulto deve investire sul
suo futuro – ha continuato il professore – evitando
fumo e colesterolo alto e impegnandosi a seguire una dieta mediterranea
e un’attività fisica regolare". Ma basta anche attenersi ai classici
esami di base di controllo, come l’elettrocardiogramma.
Anche una corretta igiene del sonno è
fondamentale per ridurre fattori di rischio come l’ipertensione.
Palpitazioni, dolori al petto, cefalea e affanno sono i sintomi che il nostro
cuore ci dà quando qualcosa non va, ma esistono degli esami di base come ecocardiogramma,
test da sforzo e il doppler che consentono di valutare a largo aspetto la
macchina cardiaca e che il professor Colizzi consiglia di effettuare dopo i
40 anni di età.
Se vuoi vedere l'intervista, clicca qui:
https://opinione.it/societa/2024/10/09/vanessa-seffer-medicina-km0-colizzi-problemi-cardiovascolari-giovani-prevenzione/
G7 SALUTE: STILE DI VITA SANO E ASPETTATIVE DI
VITA IN SALUTE
Sembra una proposta a Netflix per una serie TV
su una società dove un cittadino su tre è un over 65enne e una buona fetta
della cittadinanza è ottantenne. Per le strade si vedono pochissimi giovani e
gli ospedali, in particolare i pronto soccorsi sono assediati dagli anziani che
necessitano di medici, infermieri e badanti, ma questi non si trovano, ce ne
sono sempre meno e quei pochi vanno in pensione giorno dopo giorno. Una società
deforme, anomala, che racconta la realtà del nostro Paese e non solo, in
effetti, non una serie TV in arrivo sulla ben nota piattaforma.
Al G7 di Ancona il ministro Orazio
Schillaci e tutti gli ospiti che si sono avvicendati, si sono sperticati
per convincere la popolazione ad adottare stili di vita corretti, in
considerazione del fatto che nel post-Covid l'Italia è tornato ad essere il secondo
Paese al mondo per aspettative di vita.
Ma è importante insegnare sin da bambini il
corretto stile di vita ed essere d'esempio ai piccoli, se vogliamo che
questi, da cittadini italiani, vivano di più e meglio.
Ciò serve anche a ridurre il numero di malati
e a continuare ad avere un Sistema sanitario nazionale gratuito, per chi
ha bisogno.
Lo scorso anno nel nostro Paese è stata
approvata la legge 33 sulle politiche in favore della popolazione
anziana, per valorizzare il raccordo tra il piano sanitario e quello sociale.
Oggi, una persona anziana con malattie
croniche, pesa completamente sui familiari e il sistema ancora regge sia pure
con fatica, perché gli over 80 avevano 2, 3 o 4 figli. Cosa succederà
quando le stesse necessità alla stessa età le avranno coloro che avranno un
solo figlio o nessuno?
Il Ministero della Salute ha spiegato al G7
che l'invecchiamento sano e attivo attraverso la prevenzione in tutto l'arco
della vita è una priorità ed un obbligo per garantire il benessere di ogni
persona e la sostenibilità dei servizi sanitari.
Per questo vengono intensificate le attività
di promozione sugli stili di vita a partire dalla corretta alimentazione,
attività fisica e gli screening oncologici.
Stiamo quindi attenti a ciò che mangiamo e
beviamo, facciamo un po’ di sport o delle lunghe passeggiate ogni giorno, e
soprattutto aderiamo puntualmente ai programmi di screening di vario tipo,
in modo da curare per tempo le diverse patologie.
"Abbiamo un servizio sanitario fondato
sulla cura - ha detto Orazio Schillaci, ministro della Salute - dobbiamo fare
un cambio di paradigma e potenziare le politiche di prevenzione. Se non
interveniamo, questo invecchiamento determinerà una maggiore incidenza di
malattie non trasmissibili con evidenti ricadute sullo stato di salute sui
costi sanitari e sociali. Ecco perché dobbiamo fare in modo che la
longevità sia accompagnata da politiche che favoriscano più anni in buona
salute. Il 60% del carico di malattia in Italia, come in Europa, è
riconducibile infatti a fattori di rischio modificabili con stili di vita
corretti".
COSA SUCCEDE AL NOSTRO CORPO SE SMETTIAMO
"DAVVERO" DI FUMARE
Conosciamo perfettamente i rischi del fumo.
Rinunciandovi, si possono ottenere benefici immediati e a lungo termine per la
nostra salute.
Chi smette di fumare può aspettarsi da subito
un miglioramento della frequenza cardiaca e della respirazione.
"Il primo cambiamento, che può avvenire
entro poche ore dalla cessazione, è una diminuzione della frequenza cardiaca -
ha affermato Humberto Choi, pneumologo della Cleveland Clinic - Anche
gli elevati livelli di monossido di carbonio nel sangue riscontrati nei
fumatori, circa tre volte superiori alla media, tornano alla normalità nel giro
di pochi giorni".
Nel corso delle settimane si verificano altri
cambiamenti. Uno dei principali è il miglioramento della funzionalità polmonare
e la riduzione della tosse, che può contribuire a migliorare la capacità di
esercizio fisico. Questi effetti aiutano le persone a respirare un po' più
facilmente, rendendo anche meno impegnativo sviluppare e mantenere un'abitudine
all'esercizio, come fare passeggiate regolari o iniziare un allenamento
mattutino di forza e resistenza. "In generale, le persone tendono a
sentirsi meglio", ha detto Choi.
L'esercizio fisico offre anche un'abitudine
alternativa al fumo e l'abitudine non si perde facilmente.
Molte persone riferiscono anche un miglioramento
dell'olfatto e del gusto nelle settimane e nei mesi successivi
all’abbandono del fumo.
"A volte i fumatori non si rendevano
nemmeno conto di aver perso l'olfatto e il gusto" ha dichiarato il
professor Choi.
Quando i mesi diventano anni, smettere di
fumare può portare a una drastica riduzione del rischio di sviluppare
malattie cardiovascolari, come l'infarto o l'ictus.
"Nei primi due anni dopo aver smesso, si
perde gran parte dell’eccesso di rischio connesso al fumo", ha affermato Marie
Robertson, cardiologa che ricopre il ruolo di responsabile scientifico
dell'American Heart Association.
Come ha osservato Robertson, questo rischio
continua a diminuire dal momento in cui il soggetto smette di fumare. In dieci
anni, il rischio di morire per malattie cardiovascolari diminuisce del 63% rispetto
ai fumatori.
Dopo 20-30 anni, questo rischio scende a
livelli simili a quelli di chi non ha mai fumato.
Con l'avanzare del tempo, si abbassa anche
il rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro. Intorno ai dieci anni,
questo tasso decresce in modo sostanziale.
"Dopo dieci anni, il rischio di morte per
cancro ai polmoni si dimezza rispetto a quello dei fumatori", afferma Farhad
Islami, direttore scientifico senior dell'American Cancer Society e
ricercatore, che studia i rischi di cancro in varie popolazioni. Islami
sostiene che la possibilità si riduce in modo analogo anche per altri tipi
di cancro legati al fumo, come quelli alla testa, al collo o all'esofago.
In un recente studio di cui Islami è coautore,
il ricercatore e i suoi colleghi hanno scoperto che da 20 a 29 anni dopo aver
smesso di fumare, il rischio di morire di cancro si riduce di circa il 90%. Per
le persone che sono riuscite a smettere prima dei 35 anni, la riduzione del
rischio è ancora maggiore, al punto che, nell'arco di due o tre decenni,
diventa quasi equivalente a quella di una persona che non ha mai fumato.
"È meglio se si smette di fumare in
giovane età", afferma Islami. Ma, aggiunge che, anche se non si riesce
a smettere prima dell'età avanzata, "i benefici sono comunque molto, molto
consistenti".
Il fumo può essere una delle dipendenze più
difficili da cui uscire e questo a causa di una serie di fattori.
Per le persone affette da patologie croniche
legate al fumo, come il cancro, le malattie cardiache o la broncopneumopatia
cronica ostruttiva (BPCO), smettere di fumare può rallentare la progressione
della malattia e migliorare le probabilità di sopravvivenza.
"La possibilità di avere una recidiva
dopo un cancro è più bassa se si rinuncia al fumo", ha affermato Choi.
Per le persone che hanno già avuto un infarto,
smettere di fumare può ridurre la possibilità di averne un secondo e diminuire
la probabilità che la BPCO peggiori.
"Vogliamo che le persone rinuncino al
fumo prima di sviluppare queste patologie", così si è espressa Luba
Yammine, ricercatrice dell'UTHealth di Houston, i cui studi si focalizzano
sui disturbi legati all’uso di sostanze. "Se si è già sviluppata la
malattia, smettere di fumare sarà comunque di grande beneficio", ha
aggiunto Yammine.
"La nicotina è la sostanza che crea
maggiore dipendenza", sempre Yammine. "È molto facile diventarne
dipendenti e molto difficile liberarsene". Le difficoltà a smettere sono
dovute a un mix di fattori fisici e comportamentali.
La prima sfida è dovuta alla dipendenza
fisica dalla nicotina che può causare una combinazione di voglie e sintomi
da astinenza non appena smesso di fumare.
"Questa combinazione di voglie e sintomi
da astinenza è piuttosto sgradevole", ha assicurato Yammine. Molte persone
riferiscono di avere fame in eccesso dopo aver smesso, oltre a una sensazione
generale di irritabilità. Per aiutare a ridurre questi sintomi, sono
disponibili diversi strumenti, tra cui cerotti e gomme alla nicotina o
farmaci come il bupropione.
Il secondo fattore principale, che rende così
difficile smettere, è quello comportamentale.
Le sigarette diventano parte integrante della
vita. Per un fumatore di lunga data, la giornata è spesso strutturata in base a
quando e dove fumare, sia che si tratti di fumare una sigaretta con il caffè
del mattino, di fare pause periodiche durante la giornata o di accenderla in
specifici contesti. Questi comportamenti possono diventare così radicati che
diventa molto difficile interrompere l'abitudine, anche se i sintomi fisici
dell'astinenza sono ben controllati.
A causa delle difficoltà associate alla
dipendenza da nicotina, i fumatori riferiscono di aver fatto molti tentativi
per smettere di fumare, prima di riuscire a trovare una strategia efficace. Ciò
che alla fine funziona per una persona può non essere efficace per un'altra.
Se per alcuni la disassuefazione funziona, per
altri è necessario l'aiuto di farmaci per inibire il desiderio. Alcune persone
devono modificare in modo sostanziale le proprie abitudini quotidiane
per smettere, mentre altre possono riuscirci con piccoli adattamenti. Alcuni
interrompono dopo i primi tentativi, mentre per altri sono necessari molti
sforzi. Ogni tentativo è una lezione su come far meglio la volta successiva.
PROF. RIZZUTO: CON IL MICRORNA ABBIAMO UNA
MEDICINA DI PRECISIONE E PERSONALIZZATA
Rosario Rizzuto, professore di Patologia Generale nella Scuola di Medicina
dell'Università di Padova di cui è stato anche Rettore, è attualmente il
presidente del Centro Nazionale per la Terapia Genica e i Farmaci a RNA
finanziata dal PNRR MUR. E' stato intervistato da Repubblica su un tema a dir
poco rivoluzionario, il microRNA, e del suo ruolo nella regolazione genica,
motivazione del riconoscimento dato ai due scienziati americani vincitori del
Premio Nobel 2024 per la Medicina.
Un premio tempestivo e meritatissimo perché la
scoperta dei due vincitori del Nobel, Victor Ambros e Gary Ruvkum,
riconosce ai due studiosi americani il merito di aver compreso per primi il
ruolo del microRNA nelle regolazione dei geni. “Un concetto rivoluzionario
– continua Rizzuto – perché sui geni sappiamo moltissimo, ma su quei geni si
siedono dei regolatori che stabiliscono il loro ruolo nella cellula e i due
vincitori hanno capito che i microRNA, che si trovavano in giro ma ai quali non
si attribuiva alcuna funzione, avevano non un ruolo casuale ma funzionale. Degli
interruttori”.
Un ruolo estremamente importante quello dei microRNA, di regolazione dei
geni, che può essere utile per affrontare – come del resto si sta facendo – anche patologie molto diverse tra di loro. Per non parlare del vaccino anti Covid di cui abbiamo conosciuto le potenzialità.
"Il microRNA è a tutti gli effetti un
modulatore fine dell’orchestra delle nostre cellule. È vero, l’RNA è diventato
noto per i vaccini antiCovid a mRNA, ottenuti clamorosamente in meno di un
anno. Ma il campo dei vaccini a mRNA è solo una piccola parte delle
potenzialità, perché grazie ai microRNA e i siRNA, ogni cellula e ogni
bersaglio all’interno delle nostre cellule diventa raggiungibile e può essere
colpito”.
- Per riuscire a fare del microRna un proiettile intelligente bisogna
individuare per bene il bersaglio, però.
"Questo è il presupposto iniziale, certo.
Ma se capisco quale particolare proteina ha un ruolo per esempio in un certo
tipo di cancro posso immaginare molecole di microRNA capaci di raggiungere
quella proteina e di correggerla. Una strategia che permette di “costruire” una
molecola plastica in grado di arrivare direttamente lì dove è necessario che
vada, intervenire e degradarsi subito dopo. Una medicina di precisione e
personalizzata”
- Come ricorda, in tempi di vaccini antiCovid il timore di alcuni, non
suffragato da alcuna evidenza scientifica, era che l’RNA potesse modificare il
patrimonio genetico umano.
"L’RNA è una molecola biologica che si
degrada molto rapidamente, esercita la sua azione lì dove deve e poi sparisce.
E’ una molecola sicura e certamente non modifica il patrimonio genetico".
- Come ci aiuterà a sconfiggere le malattie croniche, secondo lei?
"Serve un’azione molto mirata. Più siamo
in grado di essere precisi e di individuare il meccanismo sbagliato alla base
di una malattia e più avremo possibilità di successo. Serve una comprensione
molecolare della malattia e una grande filiera in grado di trasferire
questa tecnologia alla produzione di nuovi farmaci. Poi, certo, non tutti gli
obiettivi sono così alla portata: agire sul cervello è più complicato che farlo
sul fegato".
- Nel nostro Paese abbiamo le potenzialità per lavorare su questa
tecnologia?
"Grazie ai fondi del PNRR abbiamo messo
in piedi strutture di ricerca di grande livello ma bisogna investire di più e
soprattutto dare continuità: non vorrei che i giovani assunti che stiamo
formando ad un certo punto vadano all’estero. Abbiamo grandi potenzialità ma
servono investimenti certi".
- Quali sono gli ambiti più promettenti dell’applicazione della
tecnologia a microRNA?
"Tutte le malattie molecolari per
definizione, come il cancro, che però ha tanti bersagli possibili. Ma
anche le malattie neurodegenerative, per le quali non abbiamo cure
adeguate, le malattie metaboliche, cardiovascolari, l’obesità,
l’aterosclerosi. Tutte le malattie infiammatorie del fegato, come la
cirrosi, o la fibrosi polmonare. Ma anche la sarcopenia, che provoca
cadute degli anziani e trombosi da allettamento, riducendo la qualità
della vita".
- Per uno scienziato è una specie di fiera dei balocchi: ovunque guardi
vedi bersagli che possono essere colpiti. Tutto sta a trovare i bersagli.
"Nell’individuare i bersagli dobbiamo
essere maniacalmente precisi. Ma non basta, bisogna poi capire se il problema è
una eccessiva espressione o al contrario una minor espressione di alcune
proteine. Quindi si deve cercare una sovraesposizione, o una sottoesposizione,
come capita in alcuni tumori. Per essere chiari: se capisco che una particolare
proteina è quella che voglio regolare allora introduco un microRNA in grado di
spegnere una produzione eccessiva o di formare quelle proteina se al contrario
c’è una sottoesposizione. Un interruttore, insomma. E noi siamo in
grado di accenderlo e spegnerlo".
- Raccontato così cambia davvero le prospettive della Medicina futura.
"Le cambia radicalmente, e soprattutto
cambia il tempo dalla scoperta all’applicazione terapeutica. Tempo che si è
accorciato moltissimo. Grazie a una piattaforma “tipo”che permette di abbassare
il colesterolo piuttosto che di inibire la degradazione muscolare.
Davvero esaltante".
VERSO UNA RIFORMA EPOCALE PER GLI INFERMIERI CON LAUREA MAGISTRALE
"Stiamo lavorando ad un progetto complessivo che guarda al futuro
della sanità italiana e al ruolo cruciale che gli infermieri ricoprono oggi e
che svolgeranno nell'assistenza sul territorio - ha dichiarato il ministro
della Salute, Orazio Schillaci - La professionalità degli infermieri e
il loro contributo sono insostituibili per garantire qualità alla sanità
pubblica. Grazie a loro, il nostro servizio sanitario potrà affrontare con
maggiore forza e preparazione le sfide future, rispondendo in modo efficace
alle esigenze dei cittadini".
Vento di riforma, quindi, per gli infermieri con le lauree magistrali
a indirizzo clinico e la prescrizione infermieristica, che si dicono
entusiasti per i recenti provvedimenti assunti dal Governo in favore del
personale sanitario, a partire dal decreto-legge contro le aggressioni.
Si finalizza così - spiegano in una nota - un modello di assistenza
infermieristica disegnato sulle reali necessità dei cittadini. Nel contempo, si
apre per la prima volta in Italia la strada della prescrizione infermieristica
di trattamenti assistenziali e tecnologie specifiche (tra i quali presìdi
sanitari e ausili) per garantire continuità e sicurezza delle cure.
Una svolta epocale, secondo il mondo infermieristico, attesa da anni,
che concretizza un proficuo dialogo con i ministri Orazio Schillaci e Anna
Maria Bernini, sin dal loro insediamento, e con tutte le Direzioni
generali.
L’annuncio più atteso - si legge nella nota - ha però riguardato la
nascita delle 3 aree di specializzazione infermieristiche: in cure primarie
e sanità pubblica; in cure pediatriche e neonatali e in cure intensive e
nell’emergenza. All’istituzione di queste aree di specializzazione, che
prossimamente saranno recepite dalla revisione della classe di laurea da parte
del Mur, la Federazione lavora da anni con i ministeri della Salute e
dell’Università. L’obiettivo è offrire più opportunità formative e sbocchi
di carriera agli infermieri in possesso della laurea magistrale.
REGIONE LAZIO
LAZIO, PARTE IL SERVIZIO ECMO TEAM MOBILE
L’Ecmo, ossigenazione extracorporea a
membrana, è una tecnica di circolazione extracorporea a cui si ricorre
temporaneamente quando i pazienti hanno una grave insufficienza cardiaca o
respiratoria, tali da mettere in pericolo la vita e che non è altrimenti
trattabile. Nella Regione Lazio, per dotazione tecnologica ed expertise del
personale, l’Ecmo è svolta in alcune strutture ospedaliere che fungono da hub:
Azienda ospedaliera San Camillo Forlanini, Azienda ospedaliera
universitaria Policlinico Umberto I, Policlinico Agostino Gemelli,
Policlinico Tor Vergata e Azienda ospedaliera universitaria Sant’Andrea.
Per garantire il funzionamento della rete Ecmo
regionale è stato necessario predisporre un servizio di trasporto capace di
connettere tra loro tutti i nodi della rete (strutture hub di riferimento e
strutture spoke che inviano i pazienti). Un lavoro di messa a punto tra
ospedali e rete di trasporto sanitario regionale preceduto da un anno di stretta
collaborazione tra Regione Lazio, Centro regionale trapianti, Ares 118 e tutti
gli ospedali coinvolti.
Questi trasporti “speciali” hanno richiesto
l’acquisto, da parte di Ares 118, di mezzi di trasporto dedicati ed
attrezzati e di equipaggi specificatamente formati: l’organizzazione ha
inoltre previsto delle simulazioni di intervento in ognuna delle cinque
strutture hub coinvolte, cominciando mercoledì 9 ottobre con l’Azienda
ospedaliera San Camillo-Forlanini. La realtà dell’emergenza è andata però più
veloce: nella notte tra l’8 e il 9 ottobre al Policlinico Umberto I si è
presentata una situazione di emergenza reale all'Ospedale di Velletri, da
trasportare al Policlinico Umberto I con urgenza, per essere affrontata
attraverso l’Ecmo. L’equipe sanitaria del Policlinico è stata allertata e
trasportata all’ospedale di Velletri, dove ha applicato al paziente un’Ecmo
veno-venoso. Una volta stabilizzato, l’uomo è stato trasferito all’Umberto I in
terapia intensiva.
"Questo è un importante traguardo per una
rete sanitaria moderna, tecnologicamente avanzata, professionalmente
all’avanguardia e focalizzata sul paziente, per ridurre le distanze ed i tempi
terapeutici che ciò richiede nell’emergenza" ha dichiarato Mariano
Feccia, direttore del Centro regionale Trapianti del Lazio, in una nota
diramata.
ALLO SPALLANZANI INCONTRO CON IL PREMIO NOBEL PER LA MEDICINA 2023, DR.
DREW WEISSMAN
Giornata storica per l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive
Lazzaro Spallanzani IRCCS che oggi ha ricevuto la visita del professor
Drew Weissman, Premio Nobel per la Medicina 2023, riconoscimento
assegnatogli - insieme a Katalin Karikò - per le scoperte che hanno reso
possibile lo sviluppo di vaccini efficaci contro il COVID-19 usando la
tecnologia mRNA.
Il dottor Weissman ha visitato e apprezzato i laboratori dello
Spallanzani e ha tenuto una lettura magistrale proprio sullo sviluppo di
vaccini basati sulla tecnologia mRNA dal titolo "Nucleoside Modified
mRNA-LNP Therapeutics". Quindi, a margine, si è intrattenuto con i
ricercatori dell’Istituto per rispondere alle loro tante domande che hanno
permesso un reciproco scambio di idee e visioni.
"Ricevere la visita di un premio Nobel per la medicina – ha
dichiarato il Commissario straordinario, dott.ssa Cristina Matranga - ci
onora e testimonia lo spessore internazionale del nostro Istituto, riconosciuto
in tutto il mondo per la sua importanza nel campo delle malattie infettive. Al
dottor Weissman non possiamo che
essere riconoscenti perché la sua ricerca sul vaccino mRNA, ritenuta meritoria
appunto del premio Nobel, ha cambiato le sorti recenti della salute a livello
mondiale. Ascoltarlo e confrontarsi con lui è stato molto interessante e la sua
testimonianza sarà da stimolo per tutto l’Istituto, soprattutto per i nostri
giovani ricercatori. Anche grazie alle sue scoperte, lo Spallanzani ha giocato
un ruolo fondamentale nel contrasto alla pandemia da COVID-19 attraverso la
ricerca, l'assistenza e la vaccinazione”.
Per il professor Weissman "Lo Spallanzani è un centro straordinario
e quello che ho trovato fantastico è che combina ricerca traslazionale e
cura dei pazienti. Inoltre si portano avanti studi per nuovi farmaci per
il Covid e cosa ancora più importante nuove terapie dirette all' ospite
per la tubercolosi".
"Vorrei sottolineare due lezioni che possiamo trarre dagli incontri
odierni" ha aggiunto il Direttore scientifico, dottor Enrico Girardi.
"La prima che le vere innovazioni nascono da un grande spessore culturale
ma anche dalla capacità di pensare in modo non conformista e dal coraggio di
perseguire le proprie idee innovative anche quando è difficile e faticoso farle
accettare dalla comunità scientifica. La seconda che la ricerca, come nel caso
dei vaccini basati sulla tecnologia messa a punto dal dottor Weissmann, può
salvare la vita di milioni di persone e che investire in ricerca è uno dei
migliori investimenti che può fare una società che lavora per il benessere
delle persone”.
Promotrice e responsabile scientifica dell’evento, la dottoressa Delia
Goletti, Direttrice dell’UOC Ricerca Traslazionale dell’INMI Spallanzani,
ha aggiunto: “È stato un piacere avere Drew Weissman allo Spallanzani. Lo
conosco dal 1992, quando lavoravamo sull’AIDS nel laboratorio del dottor
Fauci. Drew è sempre stato un ricercatore dalle grandi visioni
scientifiche, curioso, innovativo e con una grande determinazione". All’evento
sono intervenuti la dottoressa Maria Rosaria Campitiello, Capo del
Dipartimento della prevenzione, della ricerca e delle emergenze sanitarie del
Ministero della salute, e il dottor Andrea Urbani, direttore della
Direzione Salute e Integrazione sociosanitaria della Regione Lazio.
Nato nel 1959 a Lexington - Stati Uniti, il dottor Weissman si è
laureato in medicina all’Università di Boston, dove ha anche conseguito un
dottorato in immunologia e microbiologia, e si è specializzato al Beth Israel
Deaconess Medical Center. Dal 1991 al 1997 ha lavorato al National Institutes
of Health, sotto la supervisione del dottor Anthony Fauci, concentrandosi
sull'immunopatogenesi dell'HIV. Dal 1997 lavora presso l'Università
della Pennsylvania conducendo studi che hanno portato allo sviluppo dei vaccini
mRNA. Attualmente è titolare della Roberts Family Professorship in Vaccine
Research, è direttore del Penn Institute for RNA Innovation ed è anche
professore di medicina presso la Perelman School of Medicine dell'Università
della Pennsylvania.
ESODO DI PAZIENTI VERSO ALTRE REGIONI PER CURARSI. LAZIO REGIONE
PEGGIORE D'ITALIA
Questa volta il prossimo Giubileo non c’entra niente. A doversi spostare
da un capo all’altro d’Italia con la valigia in mano sono i malati pellegrini,
le tante donne e i tanti uomini di Roma e delle province che per curarsi sono
costretti ad andare lontano.
L’ente presieduto da Rocca annualmente paga 549 milioni di rimborsi agli
altri servizi sanitari. A dare un po’ di ossigeno alla sanità regionale c’è
soltanto il Policlinico Gemelli.
Analizzando i flussi di quanti si recano fuori dal territorio regionale
e quanti invece vanno a curarsi nel territorio romano e delle province, il
Lazio è al 5° posto come saldo negativo (- 171 milioni), va peggio solo al
Sud, in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.
Dell'esodo dei malati del Meridione, a beneficiarne sono le casse della
Lombardia, dell'Emilia Romagna, del Veneto, della Toscana, che insieme al
Friuli e alle Province autonome di Trento e Bolzano, hanno più pazienti in
entrata che in uscita.
Senza contare i mille disagi di chi è costretto, nonostante la
patologia, di doversi mettere in macchina o salire su un mezzo pubblico per
poter avere assistenza.
C'è soltanto una struttura nel Lazio che gli impedisce di sprofondare:
il Gemelli, struttura privata accreditata che raccoglie il 70% dei
pazienti che vengono da altre Regioni a Roma per curarsi nel Policlinico
"del Papa".
Il trend negativo della sanità regionale emerge anche da altre analisi.
L'indagine World's Best Specialized Hospitals 2025 del Newsweek ha
inserito nelle varie classifiche degli ospedali, relativamente alle 12
discipline prese in considerazione, solo 7 ospedali del Lazio, tutti a Roma, e
26 centri di quelle strutture, a fronte dei 17 ospedali della Lombardia.
Tredici delle 26 strutture inserite nelle classifiche appartengono
sempre a due ospedali privati accreditati che spiccano anche nella classifica
nazionale: 12 al Gemelli e una al Bambino Gesù.
Le strutture romane pubbliche San Camillo, Umberto I, Sant'Andrea, San
Filippo Neri e Campus, sono in graduatoria fra il 60° e il 239° posto.
Pesa infine la situazione dell'Oncologia. Nella classifica del
Newsweek ci sono 21 strutture italiani, 8 delle quali lombarde e 3 romane, fra
cui Gemelli al 3° posto nella classifica nazionale, il Policlinico Umberto I al
16° e il Sant'Andrea al 17°. Il Regina Elena non è neppure classificato.
PRIMA GIORNATA DEL CAREGIVER E DELL'INCLUSIONE
SOCIALE
Un grande 1° evento organizzato
dall'assessore all'Inclusione sociale e ai servizi alla persona, Massimiliano
Maselli, per raccontare quello come la Giunta regionale ha operato in
questi 18 mesi in tema di caregiver e di inclusione sociale.
Il 18 e il 19 ottobre, nella bellissima
cornice della Asp Fondazione Piccolomini, insieme alle famiglie e a
tutta la rete integrata dei servizi sociali, si avrà l'occasione per incontrare
e parlare con autorevoli interlocutori di ciò che la Regione ha realizzato e
sta realizzando per le oltre 25.000 persone che svolgono nel Lazio un
lavoro straordinario in modo silenzioso, gratuito e volontario, prendendosi
cura dei loro figli o genitori, con disabilità, concorrendo in modo significativo
al loro benessere. Si tratta principalmente di donne impegnate
quotidianamente nel tentativo di conciliare la responsabilità della cura con la
propria vita personale e lavorativa. Stiamo parlando dei Caregiver
familiari.
Con questo evento verranno celebrati e
ringraziati.
Il 18 ottobre dalle ore 15 alle ore 19.30
il 19 ottobre dalle ore 9 alle ore 18
DISTRETTI SOCIOSANITARI. DALLA REGIONE PIÙ DI
2 MLN NELLA FASE DI CONVERSIONE A CONSORZIO
La Giunta regionale della Regione Lazio,
su proposta dell’assessore all’Inclusione sociale e ai Servizi alla Persona, Massimiliano
Maselli, ha approvato lo stanziamento di 2 milioni e 280mila euro, come
contributo straordinario a favore dei distretti sociosanitari del Lazio,
al fine di garantire la continuità dei servizi socioassistenziali, nella
fase di transizione al passaggio a consorzio sociale.
"Si tratta di una risposta importante da
parte della Regione Lazio per poter garantire la continuità dell’erogazione dei
servizi ai cittadini che i distretti devono poter assicurare anche durante il
delicato momento di trasformazione in consorzio sociale", spiega
l’assessore Maselli.
Le richieste per ottenere il contributo
straordinario, di cui 240mila euro per il 2024 e 2 milioni e 40mila euro per
l’anno 2025, possono essere presentate in due finestre temporali: entro
l’11 novembre 2024, oppure entro il 31 marzo 2025.
I contributi saranno liquidati secondo
l’ordine cronologico di presentazione delle domande e fino a esaurimento delle
risorse disponibili.
LA REGIONE VA A SOCCORRERE LA SANITÀ DELLA
CIOCIARIA
Oltre un milione di euro dalla Regione alla Asl di Frosinone per consentire
alla sanità ciociara di risollevarsi nel quadrante complicato delle liste
d’attesa.
Promossa per quanto riguarda gli appuntamenti urgenti, rimandata per
quelli brevi e differibili, bocciata per i programmabili.
Fatta base 100, per la priorità urgente la Asl di Frosinone ottiene
95,5. A non far centrare il massimo sono le difficoltà a erogare ecografia
dell’addome completa o visita urologica nei tempi. Il Lazio in questo indice è
a 90,9. Per le prestazioni brevi, invece, si scende a Frosinone a 63,7 e delle
55 prestazioni prese in esame solo 11 hanno un semaforo “verde” e sono garantite
nei tempi. Sono 20 le “rosse” e 24 le “gialle”.
Impossibile, ad esempio, fare una risonanza magnetica dell’addome o
della colonna, la Tac del bacino.
Frosinone è perfettamente in linea con il resto della regione, invece
(73,9) per quanto attiene le prestazioni differibili. Qui i semafori “rossi”
sono 9 - non c’è spazio per ecocolordoppler, ad esempio, ancora per la
risonanza magnetica, addirittura zero appuntamenti per la spirometria - i
“gialli” 23 si equivalgono con i “verdi”.
Per le visite programmabili è piuttosto complicato. Entro i 120 giorni è
praticamente impossibile, o quasi, averne. Nelle strutture ciociare non c’è
posto per programmare tac, risonanze, ecografie, visite di chirurgia vascolare
o gastroenterologia.